Olimpiadi Moderne

Il barone Pierre de Coubertin alla fine del XIX secolo ebbe l’idea di organizzare dei giochi simili a quelli dell’antica Grecia. Le prime Olimpiadi dell’era moderna si svolsero ad Atene nel 1896.

Il barone de Coubertin, nato a Parigi nel 1863, pensava che la sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana fosse dovuta, soprattutto, alla non adeguata preparazione atletica dei soldati francesi; riteneva, dunque, che i giochi potessero essere un incentivo alla valorizzazione dell’educazione fisica nelle scuole e all’attività motoria durante il tempo libero.

Il suo pensiero aveva però anche una base ideologica: era convinto del fatto che essi sarebbero stati un modo per avvicinare le nazioni, promuovere il dialogo e, di conseguenza, ridurre le guerre. Il barone individuava quindi, nel rispetto delle diverse identità culturali, la base della reciproca comprensione tra popoli e nazioni. A rendere concreta la possibilità di incontrarsi per atleti di diverse etnie, era la gara, sebbene il risultato tecnico delle competizioni era secondario per il barone, che proclamava: “IMPORTANTE NON E’ VINCERE MA PARTECIPARE“. Si pensò anche che un ideale così alto dovesse toccare ogni parte della Terra, e con tale obiettivo, si decretò che la sede dei giochi sarebbe cambiata ogni 4 anni (la seconda Olimpiade dell’era moderna si tenne a Parigi).

IMPORTANTE NON E’ VINCERE MA PARTECIPARE
PRIME OLIMPIADI MODERNE – ATENE 1896

Il 20 giugno 1894 venne fondato il CIO (Comitato Olimpico Internazionale), con il compito di coordinare e supervisionare la realizzazione dei primi Giochi Olimpici dell’era moderna ed assegnare la sede di svolgimento dei Giochi olimpici attraverso la votazione dei propri membri.

APPROFONDIMENTO VIDEO PRIMA OLIMPIADE MODERNA ATENE 1896

L’attività del CIO è oggigiorno finanziata dai proventi dei diritti televisivi sulle Olimpiadi, dagli accordi di sponsorizzazione con le maggiori multinazionali e dai diritti di sfruttamento dei loghi olimpici.


LA BANDIERA OLIMPICA

La bandiera olimpica, uno dei simboli più conosciuti al mondo, raffigura cinque anelli intrecciati su sfondo bianco, che simboleggiano i cinque continenti, e, di conseguenza, l’incontro degli atleti di tutto il mondo..

I colori scelti sono presenti nelle bandiere di tutte le nazioni, dunque la loro combinazione simboleggia ciascun paese, mentre l’intreccio degli anelli rappresenta l’universalità dello spirito olimpico


LA FIAMMA OLIMPICA

Nel contesto dei giochi moderni la fiamma olimpica ed il percorso dei tedofori sono metafora dei valori positivi associati allo sport: come gli antichi messaggeri proclamavano la tregua, i tedofori moderni appellano il mondo intero alla non belligeranza e al concentrarsi sui giochi.

Oggigiorno, alcuni mesi prima dell’apertura dell’Olimpiade viene organizzata, nel tempio di Olimpia, una cerimonia in cui undici sacerdotesse (attrici) accendono la fiamma olimpica. La fiamma che prende vita da tale torcia viene poi trasportata nella città che ospita i Giochi Olimpici con una staffetta formata da “tedofori”, atleti che per tradizione sono soliti muoversi a piedi, ma possono anche usufruire di altri mezzi di trasporto in caso di necessità. La staffetta della torcia olimpica termina il giorno della cerimonia di apertura, nello stadio principale dei giochi; l’ultimo tedoforo utilizza la torcia per accendere la fiamma nel braciere (tripode).


STADIO OLIMPICO

Per Stadio Olimpico  si intende, l’impianto sportivo principale di una manifestazione olimpica, ossia quello dove si svolgono le cerimonie d’apertura e di chiusura e alcune tra le principali gare. Molto spesso mantengono il nome di stadio olimpico.

Lo Stadio Panathinaiko, (560 A.C.) è l’unico grande stadio al mondo costruito interamente con marmo pentelico. Qui si tennero i primi Giochi Olimpici dell’era moderna (1896).


OBIETTIVI

Accanto ai fini decubertiani che avrebbero dovuto caratterizzare le edizioni olimpiche, troviamo obiettivi eticamente meno nobili legati a questioni socio-politiche, economiche ed etico-morali.

Il primo regolamento sancì la presenza esclusiva di atleti dilettanti, escludendo completamente i professionisti. Si trattava, ancora una volta, di atleti maschi, avendo escluso le donne da qualunque competizione in gara.
Le nazioni partecipanti furono 14: Australia, Austria, Bulgaria, Cile, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Stati Uniti e 9 gli sport in programma: atletica, ciclismo, ginnastica, lotta, nuoto, tennis, tiro, scherma e sollevamento pesi.
Nonostante il desiderio del re di mantenere Atene come sede stabile dei Giochi olimpici, De Coubertin e il Comitato internazionale furono contrari e restarono fedeli all’idea originaria di assegnare ai Giochi una sede sempre diversa.

L’internazionalità dell’olimpismo, secondo l’idea di De Coubertin, sarà poi rappresentata dalla bandiera dei cinque cerchi olimpici concatenati (per indicare l’universalità dello spirito olimpico) e di diverso colore, volendo simbolizzare ciascuno un continente terrestre, quale scelta dei colori presenti nelle diverse bandiere del mondo.


Alice Milliad la suffragetta dello sport

Alice Milliat, il cui vero nome era Alice Million, nacque il 5 maggio 1884, da una famiglia umile, le cui condizioni economiche e sociali spinsero la ragazza a studiare per condurre una vita diversa, migliore. Ella stessa dichiarò che l’idea dell’attività sportiva neppure la sfiorava in gioventù, ma in seguito le cose cambiarono. Grazie al forte impegno, a soli diciotto anni ottenne un incarico come istitutrice in Inghilterra e lasciò la Bretagna alla volta del Regno Unito, dove conobbe il compatriota Joseph Milliat, che divenne suo marito, ma per quattro soli anni, dopo i quali morì tragicamente.

Rimasta sola, si dedicò al canottaggio, disciplina nella quale divenne la prima donna nella storia premiata con l’Audax per le lunghe distanze. Dedicatasi poi al viaggio, iniziò a compiere i primi passi in nome delle donne escluse da un universo sportivo prettamente maschile: in Francia ella divenne membro del club sportivo Fémina Sport, la prima associazione dedita alla promozione della pratica sportiva femminile, attraverso la combinazione di danza e sport.


In quegli anni l’attività della società si espanse, iniziando a sponsorizzare anche tornei di rugby, calcio e ciclismo, pratiche non associate all’immaginario femminile, che iniziarono a fare scandalo.
Le donne che praticavano sport a quei tempi erano viste come fanatiche, selvagge, se non addirittura malate di mente. Alice prese in mano la situazione diventando segretario generale della “Société Feminine du Sport”, e, nel marzo 1919 fu eletta presidente con l’ unanimità di voti (prima di allora i leader dei club sportivi in Francia erano tutti uomini). Sotto la sua direzione l’associazione organizzò campionati di atletica leggera e di hockey, football e basketball, sport nei quali fino a quel momento alle donne non era permesso competere.

Ma fu nel 1922 che Alice sferrò il colpo di grazia a quanti, come il barone de Coubertin, progenitore delle moderne olimpiadi, volevamo ancora impedire la presenza delle donne nel mondo sportivo: preparò le prime Olimpiadi femminili.


Si trattò di un festival della durata di tre giorni, seguito da oltre 15mila spettatori, a cui parteciparono settantasette sportive, provenienti da venti paesi. Le medaglie vinte non furono riconosciute come ufficiali, tuttavia, la portata dell’evento attirò fortemente l’attenzione pubblica. La seconda edizione dei giochi femminili ebbe luogo a Göteborg, il 20 aprile 1926. Nei Paesi scandinavi lo sport femminile ebbe un riconoscimento precoce rispetto alle altre parti d’Europa, l’appoggio della Svezia si rivelò la strategia vincente.

La Milliat era appagata dalla riuscita della manifestazione: «Le persone sono interessate allo sport femminile», dichiarò «non è già di per sé un successo?». Infatti, negli anni successivi, continuò a battersi contro il Comitato Olimpico Internazionale per vedere riconosciuta la presenza femminile nello sport.


L’osso più duro era l’atletica; solo nel 1928 alle donne fu concesso di gareggiare in cinque gare di atletica leggera alle Olimpiadi di Amsterdam, dove si assistette al trionfo dell’americana.
Alice Milliat era una donna di forte personalità e cultura, come si può rilevare dalle testimonianze dell’epoca, ma la sua franchezza e l’innovatività dei temi trattati la portarono a farsi numerosi nemici nella società, primo tra tutti il barone De Coubertin, il quale approvava l’esercizio sportivo femminile solamente se praticato per ragioni di salute, e se svolto nei margini di ambienti strettamente privati.
Alice Milliat morì nel 1957, nel più completo anonimato, fino all’ultimo fedele alla sua causa e all’emancipazione femminile.

UNA STRANA STORIA

Carlo Airoldi era semplicemente uno sportivo appassionato, maratoneta e podista che aveva vinto solo qualche gara di paese, ma con grande passione. Figlio di contadini, lavorava in una fabbrica di cioccolato. La sua storia è nota nonostante Airoldi non sia riuscito a portare a casa nemmeno una medaglia. Vincere o perdere non ha inciso assolutamente sull’impresa che Carlo ha portato a termine. Qui si va ben oltre.

A poco più di un mese dall’inizio delle Olimpiadi di Atene del 1896, Carlo, non potendosi permettere i soldi per affrontare le spese del viaggio, decise di partire per la Grecia a piedi, sfidando qualsiasi corridore e qualsiasi cavallo, con la certezza di essere il migliore e non avere rivali.


Decise di farsi sostenere da un giornale sportivo: “La bicicletta”, al quale promise la corrispondenza e l’aggiornamento riguardo la propria avventura. La sfida era affrontare il viaggio da Milano fino ad Atene, in un mese. Fu un cammino pieno di ostacoli in cui il corridore rischiò anche la vita imbattendosi in gruppi di briganti. Tramite un piroscafo che lo portò fino a Patrasso, proseguì poi il suo viaggio a piedi fino alla meta tanto bramata, Atene.

Airoldi arrivò nella capitale greca i primi di Aprile, giusto in tempo per l’inizio dei Giochi Olimpici. Ma la sua fama lo precedette, provocando chiaramente preoccupazione e apprensione tra gli organizzatori dei giochi olimpici: la maratona era la gara simbolo della competizione greca e a vincerla doveva essere assolutamente un greco. Grazie ad un cavillo burocratico, infatti, ad Airoldi non venne concessa l’autorizzazione a partecipare alla gara, perché considerato un professionista e i giochi olimpici erano esclusivamente riservati ai dilettanti. Le richieste del consolato italiano furono insistenti, ma servirono a ben poco. La maratona venne vinta, come da copione, da un dilettante greco, Spiridon Louis. L’unica nota positiva di questa edizione, è l’inserimento della medaglia d’argento e di bronzo accanto a quella d’oro.


Olimpiadi di Saint Louis 1904

Le Olimpiadi di Saint Louis scrissero una delle pagine più tristi della storia dei giochi. Iniziate male e finite peggio, sono ricordate come le “Olimpiadi della Vergogna”. Le poche gare di pallanuoto e nuoto furono allestite in un laghetto dove si abbeverava e veniva lavato il bestiame dell’esposizione, condizioni a causa delle quali, molti giocatori si ammalarono di tifo e alcuni di essi morirono. Purtroppo, la pessima organizzazione non fu il lato peggiore delle Olimpiadi del 1904.

L’ evento includeva due “Giornate di antropologia”: un “esperimento scientifico”, se così può esser chiamato, in cui una grande varietà di uomini provenienti da popolazioni indigene, inclusi pigmei, filippini, patagoni e vari indiani d’America tribù, gareggiarono in vari eventi cosicché gli antropologi potessero costruire un confronto con l’uomo bianco.

I nativi, o selvaggi, come venivano chiamati, si sfidavano in eventi poco dignitosi, come la lotta con il fango e l’arrampicata su pali, il tutto accompagnato dalle risate e dal disprezzo del numeroso pubblico.

Qui furono inseriti la pallacanestro e il pugilato e vennero usate per la prima volta le medaglie d’oro, d’argento e di bronzo.

Da notare che De Coubertin prevedendo il disastro organizzativo non assistette a nessuna gara e convinse il CIO ad assegnare le prossime olimpiadi a Londra.


Olimpiadi di Londra 1908

I Giochi di Londra sono da considerarsi il vero inizio delle Olimpiadi moderne. Parteciparono oltre 2.000 atleti di 22 nazioni (68 italiani) e il rigore e la professionalità dell’organizzazione restituirono alle Olimpiadi la dignità persa a Parigi e a Saint Louis.

 Maratoneta, passato alla storia per il drammatico epilogo della maratona ai Giochi olimpici di Londra 1908: tagliò per primo il traguardo, sorretto dai giudici di gara che l’avevano soccorso dopo averlo visto barcollare più volte, stremato dalla fatica. A causa di quell’aiuto fu squalificato e perse la medaglia d’oro, ma le immagini e il racconto del suo arrivo, facendo il giro del mondo e superando la cronaca viva di quei giorni, lo hanno consegnato alla storia dell’atletica leggera.

Olimpiadi di Berlino 1936

Nel 1936, le Olimpiadi vennero disputate a Berlino, ai tempi della Germania nazista sotto la guida di Hitler. Egli fu inizialmente riluttante all’idea che la Germania dovesse ospitare l’evento, dal momento che non apprezzava lo sport in se, ma il suo ministro per la propaganda Joseph Goebbel, capì che i Giochi si sarebbero ben prestati ad un’operazione propagandistica per il regime, che avrebbe potuto cogliere l’occasione per esibire la forza, il carattere, l’efficienza e le capacità logistiche di una “Nazione ariana”. Furono stanziate ingenti somme di denaro per stupire il mondo con giochi superlativi, grandiosi come mai se ne erano visti prima, e per costruire strutture sportive stupefacenti. E così fu!

Durante l’olimpiade furono organizzate trasmissioni radiofoniche in 40 paesi del mondo da tutti i continenti, il bollettino olimpico venne stampato in quattordici lingue, un record assoluto per quegli anni. Anche la televisione fece il suo debutto a Berlino. All’insaputa del resto del mondo, una manifestazione sportiva stava per essere trasformata in uno strumento di battaglia ideologica.

Alle Olimpiadi avrebbero partecipato ben quarantanove paesi, un numero record rispetto alle edizioni precedenti, ma forti discriminazioni erano insite nell’evento berlinese: gli atleti ebrei furono espulsi da tutte le discipline, agli afroamericani fu concesso gareggiare, anche se in numero minore (una squadra olimpica americana presentava una media di diciotto atleti di colore su 312 partecipanti).
Dato significativo riguardante questa Olimpiade, fu il fatto che, per la prima volta, nella storia delle olimpiadi moderne, i giochi vennero inaugurati da un tedoforo.
I tedeschi si posizionarono primi nel medagliere: 89 medaglie contro le 56 degli Stati Uniti. Questo accadde grazie alla selezione certosina di allenatori ed atleti che avevano dovuto affrontare un periodo preparatorio massacrante. Tale esito venne considerato da Hitler un’ulteriore dimostrazione della superiorità della razza ariana e, sulla base di questa ideologia, si approdò ad una campagna antisemita anche a livello sportivo: con le leggi di Norimberga del 1935, infatti, agli ebrei venne negato l’accesso ai campi di allenamento pubblici e privati e non fu loro permesso di competere con atleti tedeschi.


Un dettagliato resoconto di quest’edizione dei Giochi Olimpici è il film-documentario “Olimpya” di Leni Riefenstahl (1938). Esso riscosse grande successo per le tecniche cinematografiche innovative ed è tuttora considerato un mezzo di propaganda nazista; con la sua produzione Hitler intende creare un ponte tra Germania e Antica Grecia, costruendo un paragone tra la bellezza fisica ariana e quella antica.


Indubbio è però il fatto che, quelle del 1936, siano state le Olimpiadi meglio organizzate della storia, dunque, in un clima di orgoglio ed identità nazionale, tra festeggiamenti e marce trionfali, cosa sarebbe mai potuto andare storto? La risposta è nel nome Jessie Owens.

Originario dell’Alabama e settimo di dieci figli di una famiglia assai povera, prima di diventare un vero e proprio mito dell’atletica leggera, ebbe modo di compiere diversi umili lavori, dal lustrascarpe al fattorino, dal giardiniere al gelataio. In quell’edizione dei giochi, il 23enne di Oakville portò a casa 4 medaglie d’oro, rispettivamente nei 100 metri (stabilendo il record mondiale: 10,3’’), nei 200 (record olimpico: 20,7’’), nella staffetta 4×100 (record mondiale: 39,8’’) e nel salto in lungo (record olimpico: 806 cm).

Bisognerà attendere 48 anni, fino alle Olimpiadi di Los Angeles 1984, per vedere un altro uomo, l’americano Carl Lewis, capace di replicare i numeri di Owens. Ma fu un eroe senza patria: Owens, tornato in America, non ricevette l’omaggio del presidente Roosevelt, poiché viveva in un’epoca in cui vigeva la segregazione razziale.

Leggendaria e carica di principi decubertiani sarà l’amicizia con l’atleta di punta del salto in lungo del regime nazista: Luz Long. Il 23enne lipsiano, infatti, non era animato dal furore nazista e gareggiava solamente per amore dello sport.


Fu proprio lui, col suo candore e con un eclatante, quanto spontaneo, gesto di fair play, a regalare alla storia uno dei momenti più significativi dell’intera competizione olimpica. L’episodio che ha delle caratteristiche commoventi per il suo tragico epilogo e si verifica nel periodo che precede la gara: Owens sbagliò due dei tre salti di qualificazione, prima del terzo salto fu proprio Luz Long, che conosceva bene la pedana, a suggerire a Owens di anticipare la battuta per permettergli così di superare la misura di qualifica. Jessie, non solo si qualificò per la finale, ma superò lo stesso tedesco saltando per ben 8.60 metri, contro i 7.87 di Long e vinse così un altro titolo.

Dopo la conquista della medaglia d’oro di Owens, Long fu il primo a congratularsi. Tra i due nacque una profonda amicizia, sancita dalle strette di mano e dagli abbracci sinceri di quei primi istanti, amicizia che si consolidò anche nei giorni successivi, quando i due presero l’abitudine di incontrarsi a parlare nel villaggio olimpico.

Un rapporto che resistette al tempo e alla distanza, come dimostrato dal loro scambio epistolare, un affetto e rispetto reciproco che il regime nazista tentò di censurare dai filmati originali dell’epoca, e per la quale Long, anni dopo, fu punito. Mandato al fronte come ufficiale tedesco, era in Italia quando ricevette la notizia di essere diventato padre. Nell’occasione scrisse a Owens una lettera nella quale chiese all’amico di far sapere a suo figlio, in futuro, di quanto fosse importante l’amicizia nella vita e di come essa fosse possibile nonostante gli orrori e le divisioni che la guerra comporta. Luz Long morì nel 1943, in Sicilia, durante un combattimento della seconda guerra mondiale, all’ospedale di Gela. A guerra finita, Owens impiegò diverso tempo a rintracciare la famiglia dell’amico, e, trascorsi diversi anni, egli fu persino presente al matrimonio del figlio di Long in qualità di ospite d’onore.

Trebisonda Valla, detta Ondina (Bologna, 20 maggio 1916 – L’Aquila, 16 ottobre 2006) è stata la prima donna italiana a vincere una medaglia d’oro ai Giochi olimpici. Accadde ai Giochi di Berlino del 1936 nella gara degli 80 metri ad ostacoli.


Olimpiadi di Roma 1960

Giochi della XVII Olimpiade, si sono svolti a Roma, in Italia, dal 25 agosto all’11 settembre 1960.

Roma si era già aggiudicata l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 1908, ma a seguito dell’eruzione del Vesuvio del 1906 rinunciò, cedendo l’onore dell’organizzazione alla città di Londra.

Ottantaquattro nazioni partecipanti con cinquemila altleti iscritti invasero una Roma messa a lustro per ospitare la più grande manifestazione sportiva.

La storia delle Olimpiadi di Roma del 1960 come la storia di una rinascita di un intero Paese uscito dalla guerra profondamente segnato e tuttavia animato dalla voglia di rimettersi subito in piedi. Le vittorie italiane più belle rimangono certamente l’oro di Nino Benvenuti, quello di Livio Berruti, e naturalmente l’oro e l’argento dei fratelli D’Inzeo. Ma se quell’edizione rimane ancora fissata nella memoria è soprattutto per la presenza di tre outsider, almeno apparentemente, e tutti e tre di colore: Abebe Bekila, Muhammad Ali e Wilma Rudolph. (Fonte Rai 3).

Roma ’60: Le Olimpiadi a misura d’uomo
Storia delle Olimpiadi di Roma

LA MARATONA DI ROMA

L’etiope Abebe Bikila, arriva a Roma da perfetto sconosciuto. Vince la maratona e stabilisce il nuovo record olimpico, correndo a piedi scalzi su suggerimento del suo allenatore.

I 200 DI BERRUTI

Il velocista Livio Berruti è il primo europeo nella storia delle olimpiadi a spezzare il dominio dei nordamericani nei 200 metri piani; dopo di lui tale impresa riuscirà solo a Valerij Borzov, a Pietro Mennea e al greco Konstadínos Kedéris.

L’ORO DEL SETTEBELLO

Inaspettata sorpresa azzurra nella pallanuoto: il Settebello italiano, 12 anni dopo Londra, si aggiudica la medaglia d’oro davanti a Unione Sovietica e Ungheria.

IL DOMINIO ITALIANO NEL CICLISMO

Nel ciclismo, su 6 categorie gli Azzurri se ne aggiudicarono 5.

Qui due video di ciclismo su pista meravigliosi.

LE MEDAGLIE NELL’EQUITAZIONE

Nell’equitazione i fratelli Raimondo e Piero D’Inzeo conquistarono rispettivamente la medaglia d’oro e quella d’argento nel concorso a ostacoli individuale.

L’ORO DI BENVENUTI

Il 5 settembre 1960 Benvenuti vince il titolo dei welter al PalaEur. Dopo avere mandato al tappeto il rivale, si aggiudica l’incontro con il punteggio di 4-1. Verrà premiato anche con la coppa di miglior pugile di tutte le categorie


LE PRIME PARAOLIMPIADI

Le prime Paralimpiadi della storia si tennero a Roma dal 18 al 25 settembre 1960 negli impianti dell’Acqua Acetosa, due settimane dopo la chiusura delle Olimpiadi. Nella capitale si diedero appuntamento 400 atleti provenienti da 21 Nazioni.

Fu proprio Antonio Maglio, in collaborazione con il dottor Ludwig Guttmann, a far sì che il nostro Paese ospitasse la nona edizione dei Giochi internazionali di Stoke Mandeville, anticipando di 28 anni il gemellaggio spazio-temporale tra Giochi olimpici e paralimpici. L’Italia partecipò alla prima edizione delle Paralimpiadi, dedicate ai soli atleti in carrozzina, con una squadra composta interamente da pazienti del Centro Paraplegici di Ostia. Era la delegazione più numerosa in assoluto. Conquistarono 80 medaglie, più di qualsiasi altra Nazione in gara. Fonte: http://www.memoriaparalimpica.it/section/roma_60

‘I Limiti non esistono’ è un documentario realizzato da Francesca Pinto – della Direzione Comunicazione RAI – sulla storia del Movimento Paralimpico Italiano con interviste ai principali protagonisti: Luca Pancalli, Martina Caironi, Daniele Cassioli, Assunta Legnante, Federico Morlacchi, Francesca Porcellato.


Olimpiadi di Città del Messico 1968

Anche nellle Olimpiadi del Messico si approfittò della visibilità della più grande manifestazione mondiale per trasmettere ideali e valori a volte contrapposti. Una protesta studentesca fu repressa dall’esercito che provocò 40 morti. Si andò perfino vicini all’annullamento o al trasferimento dell’Olimpiade.

Queste Olimpiadi sono ricordate per le immagini di Tommie Smith e John Carlos con il pugno chiuso guantato di nero sollevato, durante la premiazione della gara dei 200m, in segno di protesta contro il razzismo. I due atleti furono espulsi dal Villaggio Olimpico e la loro carriera fu gravemente compromessa, ma il loro gesto resta una dei simboli più evocativi della storia dello sport moderno.

VIDEO DI APPROFONDIMENTO OLIMPIDI CITTA’ DEL MESSICO 1968

Aiutati (e non danneggiati come si credeva) dall’altitudine di Città del Messico, oltre che dall’introduzione del tartan come materiale per pista e pedane, furono letteralmente disintegrati record su record.

IL SALTO PERFETTO

Bob Beamon nel salto in lungo, con il suo 8.90 migliorò di oltre mezzo metro il precedente primato, mantenendolo fino al 1991.


Olimpiadi di Pechino 2008

La Cina aveva visto nell’assegnazione dei Giochi del 2008 un’occasione propagandistica della propria politica agli occhi di un mondo ancora diffidente nei confronti del suo governo. E così fu: le Olimpiadi di Pechino passarono alla storia per l’ottima organizzazione, per i numeri straordinari di nazioni in gara (204), i tanti atleti (10,942), le tante spese (41 miliardi di dollari) e per la miglior prova di sempre della squadra cinese, che concluse l’olimpiade con 51 ori e 100 medaglie.

Spiccheranno, in questa edizione, le performance stupefacenti di Michael Phelps. Ha battuto Spitz. Ha conquistato 8 medaglie d’oro nella stessa Olimpiade. L’evento storico si è verificato quando Jason Lezak, ultimo frazionista della squadra americana ha toccato primo. Phelps ha esultato con i compagni per la vittoria.

La prima vittoria nei 100 metri di Bolt alle Olimpiadi risale a Pechino 2008, quando il corridore riuscì a stabilire anche il record del mondo con un tempo di 9”69. In quella occasione fu evidente come Bolt rallentasse la sua corsa in preda all’esultanza negli ultimi 30 metri, inoltre …… “corsi inoltre con una scarpa slacciata”.

Il sorpasso Cina-Usa nel medagliere d’oro, è un primo assaggio di come la superpotenza cinese sarà sempre più visibile e invadente in ogni campo dell’attività umana: economia, cultura e con la sua influenza geostrategica.

I Giochi hanno svolto il compito che il regime aveva pianificato: il palcoscenico perfetto per dimostrare al suo popolo che il mondo rispetta la Repubblica Popolare. Questa edizione dei giochi è invece un fiasco totale per chi nutriva la speranza che avrebbero influenzato un miglioramento politico e uno sviluppo dei diritti umani.

Le 8 medaglie d’oro dell’Italia. Matteo Tagliariol Spada individuale maschile-Giulia Quintavalle Judo femminile-Valentina Vezzali Fioretto individuale femminile-Federica Pellegrini 200 m stile libero femminile-Chiara Cainero Tiro a volo Skeet femminile-Andrea Minguzzi Lotta greco-romana-Alex Schwazer Marcia 50 km-Roberto Cammarelle Pugilato Pesi Supermassimi